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San Carlo ci mostra la via per diventare santi: semplicemente, seguire Gesù e compiere opere di misericordia verso il prossimo. Uno di noi!

Uno di noi
La santità, spesso, prende traiettorie imprevedibili, quasi spiazzanti. S’annida dove non si vede, risplende dove, spesso, nessuno si accorge che ci sia. Prendiamo Carlo Acutis, l’adolescente milanese morto a 15 anni nel 2006 per una leucemia fulminante e che è stato canonizzato da papa Leone XIV il 7 settembre insieme a Pier Giorgio Frassati.
Normalità, semplicità, discrezione, genialità sono le parole più utilizzate dai suoi coetanei rimasti affascinati, e anche un po’ sorpresi, da questa figura, definita il “primo santo Millennial” o, anche, il “patrono di Internet”. Al Leone XIII, l’Istituto dei padri gesuiti di Milano, frequentato da Acutis per un anno, dal settembre 2005 al settembre 2006,c’è un manifesto con il volto di Carlo e la frase “Uno di noi”. Mai slogan fu più azzeccato. Perché i ragazzi lo sentono davvero uno di loro, capace di parlare alla loro esperienza di vita, a farli interrogare sulla fede, riflettere su chi sono gli amici di Dio, fargli capire cosa vuol dire, nella città sazia e disperata, fissare lo sguardo, non sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, secondo le parole sconcertanti di San Paolo.
Scoprire che ci sono adolescenti come Carlo, gioviali, allegri, ironici che leggono la propria vita, e la storia, con lo sguardo illuminato dallo spirito di Dio. Agiscono, senza lamentarsi. Accolgono, senza giudicare. Discutono, senza voler prevaricare. Aiutano, senza ostentare. Scherzano, senza dissacrare. Santi senza piedistalli.

Non aveva compiuto neppure sedici anni quando, il 12 ottobre 2006, Carlo Acutis lasciò questa terra a causa di una leucemia fulminante. Eppure, a distanza di quasi vent’anni, il suo nome è conosciuto in tutto il mondo. Il giovane nato a Londra nel 1991 e cresciuto a Milano, beatificato nel 2020, continua a suscitare ammirazione e affetto in tanti, specialmente tra i ragazzi. La sua storia non colpisce per imprese grandiose, ma per la straordinaria capacità di rendere santo l’ordinario, dimostrando che la santità non è un privilegio riservato a pochi, bensì una possibilità concreta per tutti.
Carlo era un adolescente come tanti: amava il calcio, il computer, i videogiochi, uscire con gli amici. Un ragazzo immerso nel suo tempo, con le passioni e gli interessi tipici della sua generazione. Ma dentro la sua quotidianità coltivava una fede intensa, che permeava ogni gesto.
Non si trattava di grandi proclami, bensì di scelte semplici e costanti: salutare con un sorriso, aiutare i compagni in difficoltà, dedicare tempo ai poveri, non restare indifferente di fronte alla sofferenza.
Era in questi piccoli gesti che Carlo viveva la sua santità, mostrando che seguire Cristo non significa rinunciare alla normalità, ma viverla con uno sguardo diverso, capace di vedere in ogni occasione un’opportunità per amare.
Fino alla fine, ha colpito tutti per il modo in cui ha affrontato la malattia, con il sorriso.

L’Eucaristia al centro
Il fulcro della sua vita era l’Eucarestia. Ricevette la prima Comunione a 7 anni, con un permesso speciale. Partecipava ogni giorno alla Messa e trovava nell’adorazione eucaristica la forza per affrontare tutto. Non a caso ripeteva: “L’Eucaristia è la mia autostrada per il cielo”. La sua passione lo portò a realizzare una mostra multimediale sui miracoli eucaristici, con l’obiettivo di far conoscere a quante più persone possibili la presenza reale di Cristo nel Sacramento.
La sua intuizione fu profetica: utilizzare internet non come strumento di distrazione, ma come canale di evangelizzazione. In questo, Carlo anticipò di fatto quella che oggi viene definita “pastorale digitale”, mostrando che la rete può essere un luogo di testimonianza e di incontro con Dio.

La fedeltà e la misericordia
Carlo non nascose mai la sua fede. La viveva con naturalezza, senza ostentazione ma con fermezza. Pregava quotidianamente, si confessava con regolarità, custodiva un rapporto costante con il Signore. Questa fedeltà non lo rese mai distante dagli altri, al contrario: sapeva accogliere, ascoltare, sostenere. Non giudicava chi gli stava attorno, ma offriva comprensione e amicizia.
La sua è stata una santità della misericordia concreta, fatta di attenzione verso i più fragili, di piccoli sacrifici nascosti, di un cuore capace di vedere oltre le apparenze. In una società segnata spesso dall’indifferenza e dal giudizio, Carlo si fece vicino ai più deboli con gesti semplici ma profondi.
Era sensibile all’acco­glienza delle persone di diverse etnie, ai bisogni dei senzatetto e dei più poveri. La madre racconta che con i suoi risparmi comprava i sacchi a pelo per i clochard e che era amico di tutti.

Un modello credibile per i giovani
Se oggi Carlo Acutis attrae migliaia di ragazzi, è proprio perché mostra che la santità non è qualcosa di lontano o complicato. È possibile essere santi restando pienamente giovani, coltivando passioni e interessi comuni, senza rinunciare alla gioia e alla leggerezza tipica di quell’età.
Carlo è un modello credibile perché parla il linguaggio della sua generazione: quello della tecnologia, della rete, della condivisione. Ma soprattutto, perché dimostra che il Vangelo non toglie nulla, anzi, dà senso e pienezza a tutto ciò che si vive.
La sua testimonianza resta un messaggio potente: la santità non si costruisce con grandi imprese, ma con un amore straordinario nelle cose ordinarie.
Carlo Acutis, santo della porta accanto, può indicare ai giovani una strada possibile: vivere la propria fede con gioia, coerenza e semplicità, facendo della vita un dono. Come scriveva papa Francesco nella Christus vivit, “attraverso la santità dei giovani, la Chiesa può rinnovare il suo ardore spirituale e il suo vigore apostolico”.

Cosa insegna la storia di Carlo?

La vita di Carlo Acutis è un esempio di come si possa vivere in modo straordinario anche facendo cose semplici. Amava il computer, la natura, gli amici, ma tutto quello che faceva aveva uno scopo più grande: avvicinarsi a Dio e aiutare gli altri a fare lo stesso. Per i giovani, Carlo è un esempio di come non sia necessario essere “perfetti” per essere santi. Basta vivere con amore, mettere gli altri al primo posto e utilizzare i talenti che abbiamo per lasciare il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato. Come diceva “La nostra meta deve essere l’Infinito, non il finito. L’infinito è la nostra Patria. Il cielo ci aspetta.