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“A San Magno, fedeli nel tempo”, convegno storico sul celeste Patrono in occasione dell’inaugurazione della Associazione “Card. Ennio Filonardi” in collaborazione con l’Accademia Bonifaciana

L’evento si è tenuto presso la Sala della Ragione del Comune di Anagni, alla presenza del Sindaco Natalia, del Vescovo dal Covolo, del Rettore Presidente De Angelis, del prof. Borghese e dei discendenti della famiglia Filonardi.

Si è tenuto, con successo di pubblico, presso la Sala della Ragione di Anagni il convegno “A San Magno, fedeli nel tempo”, in ricordo della donazione del busto argenteo di San Magno da parte di Giovanni Pietro Filonardi nel 1765, al quale il Rettore Presidente della Bonifaciana Gr. Uff. professor Sante De Angelis, ha partecipato come uno dei due relatori principali, insieme con monsignor Enrico dal Covolo, Presidente del Comitato Scientifico della medesima istituzione ed Assessore del Pontificio Comitato di Scienze Storiche in Vaticano.

L’evento, organizzato dall’Associazione “Card. Ennio Filonardi 1466-1549” con il patrocinio del Comune di Anagni e della stessa Accademia Bonifaciana, segna l’inizio di una serie di iniziative culturali volte a preservare e valorizzare la storia e le tradizioni della città papale e non solo.

Tra le presenze in sala, quelle del Sindaco di Anagni avvocato Daniele Natalia, del Sindaco di Ferentino Piergianni Fiorletta, degli ex Presidenti della Provincia di Frosinone Antonio Pompeo e Giuseppe Patrizi, del Vicario Foraneo della diocesi di Anagni-Alatri e parroco della Cattedrale don Marcello Coretti, del Comandante della Polizia Locale Commissario Fabrizio Mancini e della Stazione dei Carabinieri Luogotenente Massimo Crescenzi, del membro del Comitato Scientifico della Bonifaciana professor Enrico Fanciulli, il delegato per le ricerche storiche per la Bonifaciana Cav. Fabrizio Cacciatori, il professor Pietro Filonardi, il professor Tommaso Cecilia, nonché diversi amministratori locali ed estimatori della Associazione Filonardi e della Bonifaciana.

Un sentito ringraziamento a tutti i partecipanti, in particolare al Presidente della Associazione, il professor Alfio Borghese, alla Vice Presidente Rita Filonardi Tibaldeschi, alla moderatrice signora Eleonora Colaceci Tuffi e alla famiglia Filonardi, che ha avuto storicamente un ruolo cruciale nel plasmare a livello religioso, sociale e politico, la storia della Ciociaria.

Riportiamo l’intervento del Presidente del Comitato Scientifico dell’Accademia Bonifaciana:

Signor Sindaco Daniele Natalia, Assessore alla Cultura Carlo Marino, gentili ospiti ed amici di Anagni, rappresentanti delle varie amministrazioni comunali del comprensorio, grazie per il gradito invito che ho ricevuto per mezzo del Presidente dell’Accademia Bonifaciana Sante De Angelis, che ha collaborato in maniera fattiva per la riuscita di questo convegno e per la presentazione dell’Associazione “Cardinale Ennio Filonardi” presieduta dal noto critico d’arte e giornalista ed accademico bonifaciano Alfio Borghese, con sede nel comune di Boville Ernica.

Ho accettato con vivo piacere a prendere parte a questo evento, perché ormai da molti anni frequento questa città papale essendo, non solo premio Internazionale Bonifacio VIII dal 2017, ma perché dopo due anni ho assunto l’ufficio di Presidente del Comitato Scientifico della Bonifaciana. E l’altro motivo è strettamente legato al mio incarico che svolgo per la Santa Sede, ossia di Assessore del Pontificio Comitato di Scienze Storiche.

Il mio grazie anche alla Vice Presidente Rita Filonardi Tibaldeschi e alla moderatrice di questa assise, la signora Eleonora Colaceci Tuffi.

È davvero lodevole ricordare dopo tanti secoli, con un’associazione questo grande cardinale ciociaro, che nacque nel 1466 nel borgo di Bauco (oggi Boville Ernica, provincia di Frosinone).

Personalità di alta cultura e uomo d’azione, fu apprezzato da molti pontefici, soprattutto in delicate situazioni diplomatiche nella politica della prima metà del XVI secolo.

La sua carriera si svolse sotto vari pontefici. Sotto Sisto V entrò  (1484) nella Curia romana; nel periodo di Innocenzo VIII iniziò il suo apprezzamento; da Alessandro VI fu nominato vescovo di Veroli (ag. 1503, riassegnato 1536, vescovo emerito nel 1549). Da Giulio II, malgrado F. fosse in un primo tempo vicino ai Borgia, ottenne diversi uffici quali vicelegato a Bologna  e governatore a Imola,  ma soprattutto  fu utilizzato in delicate missioni diplomatiche e militari: fu inviato sul teatro della guerra in Lombardia e fu nunzio pontificio per l’avvio (1512) del trattato di alleanza con gli svizzeri nella complessa situazione della politica di equilibrio. Con Leone X, dal quale era stato nominato legatus a latere in Svizzeraincontrò notevoli difficoltà per la delegittimazione pontificia dopo la stipula (dic. 1514) nella forma concordata e la ratifica (ag. 1515) dello stesso pontefice  del tratato con gli svizzeri, motivo che gli fece subire anche un arresto nel Canton Ticino. Nel breve periodo (1522-23) di Adriano VI fu richiamato a Roma e poi di nuovo nominato nunzio presso la Confederazione; di quel momento fu il contatto a Costanza con Erasmo da Rotterdam sul quale fece pressione affinché si opponesse a Lutero e alle sue tesi. Clemente VII, data la vittoria francese nell’Italia settentrionale, diede la nuova missione a F. presso la Confederazione, le Tre Leghe e il Vallese per riuscire a stabilire la pace, che si dimostrò difficoltosa quanto instabile per la reazione alla svolta politica pontificia con il “sacco di Roma” da parte dei lanzichenecchi di Carlo V d’Asburgo. F. ricevette nel 1527 come commenda l’abbazia di Casamari, nel 1528 fu nominato governatore e vicelegato della provincia di Campagna e Marittima, tra il 1529 e il 1530 fu vicelegato a Perugia. Nella primavera del 1531 nunzio a Milano per entrare in contatto ancora con la Svizzera  per il conflitto acuitosi tra i cantoni protestanti e quelli fedeli alla Chiesa di Roma. Tentò ancora la mediazione diplomatica al fine di promuovere l’unità dei membri della Confederazione. Dalla fine del 1534 ritornò a Roma in Curia come esperto per le relazioni con la Svizzera. Fu nominato da papa Paolo III prefetto di Castel Sant’Angelo, che lasciò nel dic. 1536 perché elevato al cardinalato: cardinale-prete (1537) di Sant’Angelo in Pescheria e nel 1538 divenne amministratore del vescovato di Montefeltro, trasferendo il vescovato di Veroli, come già la commenda di Casamari, al nipote Antonio. Dopo alcune missioni militari dal 1541 risiedette a più riprese nel suo paese natale. Nell’ott. 1546 divenne cardinale-vescovo di Albano e trasferì il vescovato di Montefeltro al nipote Ennio. Durante il conclave seguito alla morte di Paolo III e mentre il suo nome era tra i papabili si spense (19 dic. 1549) per malattia a Roma in Castel Sant’Angelo. Fu poi traslato nella chiesa di San Michele Arcangelo del suo paese natale.

Perché quindi ricordare qui ad Anagni la famiglia Filonardi? Perché un suo discendente come ci dirà poi in modo più dettagliato il nostro De Angelis, Giovanni Pietro Filonardi, intorno al 1765, donò il busto argenteo del patrono San Magno, che tuttora è venerato e portato in processione per le vie di Anagni e da qui questo convegno “A San Magno fedeli nel tempo”.

Quindi, penso sia doveroso, seppur a grandi linee, ricordare alcuni tratti della vita di questo santo patrono principale della città di Anagni e della diocesi di Anagni-Alatri.

Magno era originario di Trani, dove nacque alla fine del II secolo. Da ragazzo si convertì al Cristianesimo; fu battezzato dal vescovo Redento e convinse anche il padre Apollonio a fare lo stesso. Divenuto più tardi vescovo di Trani, fu costretto alla fuga a causa delle persecuzioni contro i Cristiani. In viaggio verso Roma seguendo la Via Latina per venerare le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, predicò il Vangelo in molte città del Lazio, tra cui Anagni dove battezzò santa Secondina.

I soldati incaricati della persecuzione dei Cristiani (ordinata dall’imperatore Decio) trovarono Magno in una grotta nei pressi di Fondi, insieme a san Paterno e ad altri cristiani rifugiati nelle grotte vicine. Essi, come costume romano, tentarono di costringere il vescovo ad abbandonare la religione cristiana e ad eseguire dei sacrifici in onore degli dei pagani. Magno chiese ed ottenne di pregare per l’ultima volta nella cappella e tre giorni dopo, quando i soldati arrivarono per prenderlo, lo trovarono morto ai piedi dell’altare. Nondimeno, portarono il corpo alla non lontana Fabrateria Nova, nei pressi di Ceprano, dove lo decapitarono. Era il 19 agosto dell’anno 251.

Culto

I suoi resti furono traslati da un certo Platone a Veroli, dove fu sepolto nella cripta della Basilica di Santa Sàlome. Nel corso del  IX secolo, durante le invasioni dei Saraceni, un gruppo di Arabi capitanati dallo sceicco Muca, occuparono Veroli e usarono senza riguardi la cripta dove era custodito il corpo di san Magno come stalla per i loro cavalli. Il mattino successivo, tornando alla cripta, trovarono tutti i cavalli morti ed attribuirono l’avvenimento ad un artifizio operato dal santo per far rispettare la sua tomba. Profanarono allora il sarcofago e buttarono i resti del santo fuori dalla chiesa. Muca però, sapendo della devozione degli abitanti di Anagni per la figura di san Magno, fissò la vendita delle reliquie ad un prezzo altissimo, in oro. Gli Anagnini accettarono ed il corpo di san Magno venne accolto nella città e sepolto nella cripta, che costituisce il fulcro originario della Cattedrale. All’interno di essa, saranno in seguito dipinti la storia delle persecuzioni, la morte ed il suo trasporto ad Anagni, oltre a 5 miracoli avvenuti dopo la sua tumulazione.

La tradizione popolare racconta come attraverso varie apparizioni, venisse ritrovato il suo corpo durante la demolizione della vecchia chiesa di Anagni e come il santo più volte si manifestasse al vescovo Pietro da Salerno esortandolo a portare a termine la costruzione della nuova cattedrale. A lui sono dedicati molti affreschi nella cripta della cattedrale e non è un caso che l’altare a lui dedicato ed in cui sono conservate le sue reliquie, occupi uno spazio importante, cioè l’area dell’abside centrale della chiesa sotterranea.

La sua figura non va confusa con l’omonimo santo e martire della Legione tebana venerato in varie località del cuneese.

Patronati

San Magno è venerato in particolare ad Anagni, dove è il santo patrono della città e la cui chiesa cattedrale ne ospita le reliquie; San Magno è venerato anche a Colle San Magno, di cui pure è il santo patrono.

Nel Lazio viene venerato anche a Cittaducale, in provincia di Rieti, dove il 19 agosto, giorno del martirio, si tiene la festa patronale. Fino agli anni ’70 del XX secolo, lo stesso giorno si teneva una fiera del bestiame, istituita nel XVI secolo nel periodo delle transumanze per il trasferimento degli animali dai pascoli estivi del Monte Terminillo verso i territori più a Sud del Regno di Napoli.

San Magno è anche venerato a San Mango Piemonte (il nome del paese deriva proprio dal santo), di cui è il patrono. La leggenda narra che in fuga da persecuzioni si sia rifugiato in una grotta sulla cima di un monte nei pressi del paese; il santo successivamente apparve ai fedeli indicando il luogo dove voleva che si costruisse un eremo, probabilmente il luogo dove si rifugiò, che ora è meta di pellegrinaggio durante la festa patronale. Il monte ha poi preso il nome di Monte San Magno.

Per lunghi secoli Trani aveva quasi dimenticato l’esistenza di questo suo santo, vescovo e concittadino, fino a quando il 24 novembre 2010 l’Arcivescovo dell’ arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie monsignor Giovanni Battista Pichierri, durante la celebrazione per il 50º anniversario dell’istituzione canonica della parrocchia San Giuseppe, istituì una nuova parrocchia con il titolo di “San Magno Vescovo e Martire”, cominciando così a riscoprire nei tranesi la devozione per il loro “santo concittadino”.

Riportiamo alcuni tratti, dell’intervento del Rettore Presidente dell’Accademia Bonifaciana:

Con l’Accademia Bonifaciana abbiamo collaborato – per quello che mi è stato possibile – con vivo piacere alla riuscita di questo convegno e per la presentazione dell’Associazione intitolata al porporato di Bauco protagonista indiscusso nel suo tempo della vita ecclesiale, diplomatica, politica e sociale. L’organizzazione e i discendenti della nobile famiglia Filonardi mi hanno voluto affidare l’incarico di parlare del tema di questo incontro “A San Magno fedeli nel tempo –  a ricordo della donazione del busto di San Magno”, naturalmente non farò una lectio, perché non c’è stato il tempo materiale per allestirla, ma racconterò spero in maniera scorrevole, con l’aiuto di testi o siti locali, la devozione di noi anagnini verso il Patrono, che proprio ieri abbiamo ricordato in occasione della sua festa liturgica, di cui, annotiamo – dopo circa un secolo, da ciò che abbiamo appreso – l’annullamento della Processione che era prevista nella tarda serata del 18 agosto, per timori di forti temporali e tutto ciò ha determinato un po’ di tristezza nei numerosi fedeli presenti, stante la forte devozione al Santo Patrono.

La prima processione di S. Magno avvenne, secondo la tradizione, nell’anno 877 dell’era cristiana, quando il corpo del martire tranense fu riscattato, pagandolo a caro prezzo, dalle mani dei saraceni comandati da Muca, che lo aveva trafugato da una chiesa di Veroli. In questa circostanza, raccontano le “istorie”, i cavalli che portavano il corpo del Santo, una volta usciti da Veroli, si fermarono all’improvviso e non vollero più andare avanti.

Gli anagnini, preoccupati per la novità (e, perché no, anche per il destino dei denari ormai versati) interpretarono alla fine il fatto in senso positivo, e decretarono che il miracolo aveva il fine evidente di manifestare coram populo la volontà del santo di prendere la strada di Anagni. Promisero allora solennemente al santo di tenerlo come protettore maggiore della città, di collocarlo all’interno della chiesa cattedrale e di festeggiare ogni anno la sua ricorrenza con feste degne di lui il 19 agosto.

Dopo la promessa i cavalli partirono e i cittadini festanti accompagnarono alla sua nuova dimora il corpo del martire. Tutta la documentazione anagnina relativa al santo patrono riporta sempre questo preambolo, e nello stesso statuto comunale viene ricordata solennemente la promessa: “…ludus Beati Magni praedicti nostri protectoris …et sic eius observantia illibata nostris civibus sit in perpetuo duratura…”.

Ciò parla a riprova di una reciproca simpatia, di un feeling che sin dall’inizio si è instaurato tra il santo e i cittadini di Anagni, che da questo momento hanno acquisito il loro amico nel cielo e gli testimoniano il loro affetto in special modo con i festeggiamenti del mese di agosto. Certo, non è tutto oro quello che riluce. A distanza di molti secoli, qualcosa non andava per il verso giusto, se nel Cinquecento si avvertì il bisogno di intervenire autoritativamente per rinforzare i vincoli tra i cittadini e il loro patrono.

È da questo momento che la processione del 18 agosto sembra prendere forma definitiva. Il 29 maggio 1571 il visitatore apostolico mons. Vincenzo Ercolani, al fine di eliminare profanas consuetudines consistenti in vane saltationes choree, in gozzoviglie e allegre processioni mascherate, proibisce tassativamente queste ultime sub poena di 200 scudi aurei, e ordina che, nella vigilia della festa, quindi il 18 agosto, si tenga post vespera una pubblica processione cui partecipino devote il clero e il popolo, iuxta morem aliarum civitatum.

Per molti anni ancora la consuetudine delle maschere, residuo di antiche se non venerande tradizioni, restò viva a dispetto delle disposizioni tanto spesso reiterate e tanto spesso disattese; ma la processione introdotta manu militari dal rigoroso visitatore divenne ben presto usanza stabile, come ci testimonia d’ora innanzi la documentazione in nostro possesso.

La processione divenne così il momento culminante di una serie di manifestazioni religiose e popolari, dirette da quattro “signori della festa” che organizzavano tutti i festeggiamenti, nominati dall’amministrazione comunale in base al loro interessamento e soprattutto alla disponibilità a spendere qualche parte del loro patrimonio in cambio della popolarità che certamente ne ritraevano. Il comune provvedeva prima della processione ad offrire alla cattedrale la cera ed altri donativi.

L’inizio dei festeggiamenti era fissato al 21 luglio, ed essi si protraevano fino al 21-23 agosto, cioè la domenica successiva al giorno della festa. Il giorno 18, verso il crepuscolo, iniziava la processione che partiva dalla cattedrale, attraversava la via Maggiore in discesa verso porta Cerere, e poi tornava indietro sullo stesso percorso rientrando in cattedrale.

Ad essa partecipava tutto il clero cittadino: il vescovo con i canonici, i beneficiati cantori, i canonici della collegiata, i beneficiati semplici, i chierici coniugati. Erano presenti anche le confraternite al gran completo, e la folta rappresentanza della magistratura, dell’Amministrazione comunale. Era tanto il fervore verso il santo che i portatori, per avere l’onore di trasportarlo (e magari anche il piacere tutto particolare di bestemmiarlo mentre lo trasportavano), se lo contendevano anche aspramente e pagavano persino mezza coppa di grano a testa ai camerlenghi per essere prescelti.

Il culto di S. Magno rappresenta un po’, nella storia psicologica del populus anagninus, l’istanza trasgressiva che sempre si accompagna a ogni atto di devozione, come il punto di scarico di tutte le pulsioni ostili al mondo della divinità e a ciò che esso rappresenta. Non a caso a fianco alle celebrazioni troviamo sempre un forte senso di colpa che per risvegliarsi coglie occasione da tutti gli eventi temibili: terremoti, carestie, passaggio di truppe.

Ognuno di tali eventi viene subito collegato alla collera del patrono, collera che, si dava per scontato, esiste ed ha buoni motivi per esistere. Inizia allora l’operazione di recupero della fiducia del santo, con tridui, preghiere, penitenze, processioni, il cui effetto è quello di placare la sua collera, di allontanare la punizione temuta, e quindi di permettere di nuovo il ritorno al solito stile di vita. Una pagina delle “Riformanze” del 25 luglio 1765 ci fu una viva pittura di tali contrastanti e complementari elementi, di questa mistura profano-spirituale:

“Essendo noto ad ogn’uno di lor signori il voto, ch’ha questa nostra Comunità di solennizzare ogn’anno il dì festivo del glorioso arcivescovo e martire S. Magno nostro Principe protettore.

Esso è antichissimo, e fu fatto fin dall’anno 877, quando il suo Sagro Corpo fu da Veroli traslato in Anagni, e fu prescielto per lo principal Protettore della Città. La pompa, e Magnificenza usata da nostri Maggiori, c’ammonisce, ch’ancor Noi, siccome Loro fecero di sodisfare a questo voto con ogni solennità, tanto più che dalla celebrazione di detta Festa riconosce la nostra Città molte grazie celesti, e si è più volte osservato ne tempi andati, che essendosi per qualche caso transandata detta Festa, ha la Città sofferte non piccole disgrazie.

Nelli prossimi passati dieci anni la sudetta Festa è stata solennizata dalli Signori del numero duodenario con quella proprietà maggiore che si è potuto a tutte loro spese a riserva della tenue somma di scudi 30 somministrati dalla Communità, come è a tutti Loro Signori noto. Hora tra essi si è compito il Turno,et il peso della Festa incombe tutto alla Communità; perciò si propone alle Signorie Loro d’assegnare al Magistrato, il quale rappresenta il Corpo della Città ch’ha il voto, quella somma necessaria per pagare almeno le spese vive della musica, ed il donativo al Santo, ed ogn’altro più necessario, obligandosi li Signori del numero duodenario trattare tutti li Musici, acciò detto Magistrato possa continuare se non in tutto, almeno in parte la sudetta Festa con quella pompa esteriore, che si è veduto nelli scorsi anni, tanto lodata da Forastieri, incominciata non per la pura vanità ma per lo voto de nostri Maggiori all’hor quando fecero acquisto del Sagro Corpo del detto nostro Santo Martire Protettore”.

La questione si risolse per allora con l’aumento vistoso del budget da assegnare al santo; oltre i trenta scudi già in passato tabellati, fu proposto di aggiungerne altri ottanta l’anno, in buona parte a beneficio della Musica che more solito doveva allietare la festa, e scudi venti “per la Machina da farsi al Santo, a fine d’adempiere pienamente al voto fatto dalla nostra Città, ed augumentare il culto divino, e promovere sempre più la devozione verso lo stesso santo, per di cui intercessione dobbiamo sperare ogni bene sia spirituale, che temporale”.

Ci fu un solo voto contrario; e non sappiamo il nome del fedifrago, se fosse greco o gentile, nobile o plebeo; forse era uno di quelli che più erano stati colpiti dalla carestia dell’anno del Signore 1764? Con molta probabilità sin dall’inizio veniva portata in processione ‘effigie del santo, ma non abbiamo precise testimonianze al riguardo.

La documentazione certa sull’argomento risale al secolo XVIII, quando vengono fatti eseguire i due busti argentei che attualmente si espongono e si portano in processione.

Quello di S. Magno fu donato alla cattedrale prima del 1765 da Giovanni Pietro Filonardi di Bauco discendente del cardinale Ennio, di Domenico e Giacomo Filonardi, del cardinale Filippo Filonardi e dei vescovi Cinzio e Antonio Filonardi, e la decisione di accantonare venti scudi per fare la macchina sembra confermarlo.

Il busto di S. Pietro vescovo di Anagni dei Principi di Salerno, invece, donato da Giuseppe Gigli di Sezze più o meno nello stesso torno di tempo.

L’aggiunta del vescovo Pietro una operazione di vertice, come usa dire oggi, decisa certamente dal Capitolo, ma che non mai entrata nel cuore degli anagnini, i quali ancora oggi o ignorano del tutto Pietro, o fingono di credere che sia S. Pietro l’apostolo.

L’austero e insieme intraprendente riformatore del sec. XI giù in vita aveva dovuto esperimentare qualche opposizione da parte del popolo, che a quanto sembra gli rimproverava di dilapidare nella costruzione di una faraonica cattedrale somme che potevano essere usate, si mormorava, con maggior utilità a favore dei poveri. Così Pietro, vescovo dei principi longobardi di Salerno, uno dei più fidati seguaci di Ildebrando di Soana, ambasciatore con incarichi speciali presso le corti di Palermo e di Bisanzio, amico tra l’altro di S. Bruno vescovo di Segni, ha ricavato dal suo amore per la città (alla quale ha donato un monumento – appunto la cattedrale – nel quale sperano oggi tutti, cristiani e non credenti, unificati dalla nuova religione del turismo di massa).

C’è però da dire che, come si sa, il tempo è galantuomo, che il fatto di essere in due offre all’uno e all’altro possibilità non preventivate di mimetizzazione, che insomma durante la processione si grida viva anche a S. Pietro, sebbene sia noto a tutti che la mitria più alta quella che sta sulla testa di S. Magno. In prosieguo di tempo la processione venne per determinati periodi e in determinate circostanze arricchita con la presenza di altri santi. Secondo la tradizione più antica, sancita dallo Statuto, il 14 agosto dalla chiesa di S. Andrea veniva portata solennemente in cattedrale per la festa dell’Assunta del giorno successivo e per quella di S. Magno del 19 la trecentesca icona del Salvatore (accompagnata a turno dai fedeli di una delle contrade), che poi veniva riportata giù dopo la fine della festa, più tardi conosciuta con la dizione locale dei “santi ammonte e santi abballe”.

Nell’Ottocento, invece, l’onore della compresenza toccò alla statua di S. Vincenzo Ferreri dalla chiesa di S. Giacomo e a quella di S. Rocco proveniente dalla chiesa di S. Antonio abate nelle vicinanze della piazza maggiore (ora auditorium comunale). Successivamente alla decisione presa nel 1765, nel 1779 il Comune ordinò all’architetto Subleyras di disegnare le macchine del Santissimo Salvatore e di S. Magno.

Queste ultime, sia pure malconce per la lunga attività e il tempo trascorso, ma egregiamente restaurate negli ultimi decenni grazie al Vescovo monsignor Luigi Belloli e al parroco della cattedrale don Angelo Ricci, vengono ancora oggi usate per la processione, e la macchina del protettore serve ancora al trasporto dei due busti. Questo può essere segnato come un punto in favore della devozione dei cittadini, come anche i frequenti restauri che le macchine hanno subìto varie volte nel tempo (quella originale del trittico del Salvatore si trova ormai nel museo della Cattedrale, mentre una copia dello stesso nella chiesa di S. Andrea).

Nei primi anni del Novecento il vescovo Antonio Sardi, barone di Rivisondoli, aristocratico pastore che forse non conosceva ancora in tutte le sue potenzialità la spiritualità cittadina, ebbe la felice idea di ordinare una nuova statua del protettore, considerando ormai troppo malconci i due busti argentei. Commissionò a degli artigiani pugliesi un nuovo S. Magno in cartapesta e a corpo intero. La nuova statua era imponente, come si può ancor oggi constatare, in quanto essa conservata tuttora presso coro del monastero delle suore Cistercensi della carità. La sera del 18 agosto 1905 la nuova statua fece il suo debutto sulla scena cittadina prendendo il posto dei due sorpassati mezzibusti. Lo stupore fu alto, e la reazione non fu particolarmente favorevole.

Il popolo furente prese a cocomerate e pomodorate la nuova statua, chiedendo a gran voce il ritorno all’antico e gridando allo scandalo. Il corteo dei canonici rientrò in gran fretta in cattedrale e la processione in tal modo abortì. Quale il motivo di questa levata di scudi? La cosa non appare chiara: apparentemente la causa sembra da ricercarsi nello zelo popolare, legato alle venerande antiche consuetudini; un atto di amore, quindi. Ma, conoscendo le disposizioni secolari della gente verso il proprio patrono, sembra piuttosto che si sia trattato di un gesto di stizza, come un voler ammonire il santo a non esagerare troppo nel culto della personalità.

In ogni caso, come un atto di irriverenza e di ostilità fu interpretato dai canonici, i depositari delle più segrete verità intorno ai santi e alla santità locali, e quindi i più atti a studiare e interpretare le reazioni popolari nei riguardi del patrono. Ed ecco subito spuntare la colpa, il senso di colpa, e la punizione connessa: il giorno dopo, secondo la tradizione (che non abbiamo motivo per non credere veridica),venne giù una grandinata tremenda che distrusse tutti i raccolti.Era, evidentemente, la vendetta del santo per la cattiva accoglienza ricevuta e il sacrilegio perpetrato.

La punizione fu salutare: gli anagnini corsero con la coda bassa in cattedrale e qui fecero ammenda del fallo commesso, partecipando compatti a un triduo di penitenza e riparazione. D’altra parte, occorre rilevare come anche i canonici non fossero soddisfatti della novità, anche perché il nuovo vescovo con la sua mania innovativa aveva rotto gli equilibri tradizionali e le sacre e venerande abitudini antiche. L’anno successivo, perciò, i due busti, ripuliti a festa e reindorati per l’occasione a spese del Comune, fecero trionfale ritorno in mezzo al loro diletto popolo; e la pace sociale tornò così in Anagni, mentre la statua nuova, anch’essa per la sua parte colpevole dell’accaduto, fu accantonata e donata alle suore cistercensi, che piamente la conservano ancora, affinché non si perda giammai la memoria di tanto avvenimento.

Nel dopoguerra la gloriosa processione di S. Magno andò pian piano perdendo la sua importanza. La processione era ridotta a pochi fedeli, e anche i canonici erano ormai uno sparuto gruppetto.

Ma, quando sembrava che la processione fosse ormai un vecchio arnese da relegare in soffitta, ecco il colpo di coda, l’inatteso e magistrale exploit del vecchio ma non domo patrono. Il vetusto rito si è rivitalizzato all’improvviso in questi ultimi trent’anni dal 1994, come per incanto, tramite l’intervento del mai dimenticato canonico, monsignor Angelo Ricci, carpinetano, compaesano di Leone XIII, con il pieno appoggio del Vescovo dell’epoca monsignor Luigi Belloli, che ha ricordato e fatto rivivere, con stupefacente precisione, un rituale obliato da secoli: le confraternite del SS.mo Sacramento e di San Magno, di San Vincenzo Ferreri, la novena al patrono, il palio dei rioni (del quale è da dire, nonostante quel che ne pensa qualcuno, anima arida e scettica, che è esistito davvero, secondo la testimonianza decisiva di un illustre studioso e cultore di patrie tradizioni).

Questa reviviscenza di spirito religioso ha ridato vita alla processione che, sotto l’occhio delle moderne telecamere, ha rinnovato e rinnova oggi gli antichi fasti col rutilante succedersi dei variopinti costumi delle antiche dieci contrade, con l’augurio che l’Associazione Interparrochiale Anagni Medievale che gestisce quanto sopra descritto, continui a tenere alto ciò che trent’anni fa esatti don Ricci con il Vescovo Belloli, realizzarono, e si apra alla collaborazione con gli altri Enti, associazioni e quant’altro possa valorizzare l’Anagni medievale e bonifaciana, unitamente al patrono San Magno.

Perché avremo tutto da perdere se tra Enti – specialmente che operano nella stessa città, con le medesime o simili finalità – non c’è collaborazione, ma chiusure, invidie, ostruzioni, infamie e cattiverie di ogni genere. “Pensiamo – ha detto recentemente papa Francesco –  io sono discepolo dell’amore di Gesù o un discepolo del chiacchiericcio che divide, divide. Il chiacchiericcio  è un’arma letale, uccide, uccide l’amore, uccide la società, uccide la fratellanza. Chiediamoci: io sono una persona che divide o una persona che condivide?”. “Noi pure, discepoli di Gesù, siamo chiamati a esercitare in questo modo la giustizia – ha aggiunto – nei rapporti con gli altri, nella Chiesa, nella società: non con la durezza di chi giudica e condanna dividendo le persone in buone e cattive, ma con la misericordia di chi accoglie condividendo le ferite e le fragilità delle sorelle e dei fratelli, per rialzarli. Vorrei dirlo così: non dividendo, ma condividendo – dice ancora il Papa – …Non dividere, ma condividere. Facciamo come Gesù: condividiamo, portiamo i pesi gli uni degli altri, invece di chiacchierare e distruggere, guardiamoci con compassione, aiutiamoci a vicenda”. 

“Noi tante volte abbiamo un’idea ristretta di giustizia – ha proseguito il Sommo Pontefice – e pensiamo che essa significhi: chi sbaglia paga e soddisfa così il torto che ha compiuto. Ma la giustizia di Dio, come la Scrittura insegna, è molto più grande: non ha come fine la condanna del colpevole, ma la sua salvezza e la sua rinascita, il renderlo giusto, da ingiusto a giusto. È una giustizia che viene dall’amore, da quelle viscere di compassione e di misericordia che sono il cuore stesso di Dio, Padre che si commuove quando siamo oppressi dal male e cadiamo sotto il peso dei peccati e delle fragilità. La giustizia di Dio, dunque, non vuole distribuire pene e castighi, noi abbiamo paura a pensare che Dio è misericordia”. San Magno, tu che hai vissuto in pieno questa esperienza, ti preghiamo di intercedere e illuminare le nostre menti e dei nostri responsabili!