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In apertura del quarantennale della Revisione del Concordato del 1984, il 18 febbraio, ad Anagni, presso la Sala della Ragione, si è svolto il convegno dal titolo “I rapporti Stato-Chiesa alla vigilia degli accordi di Villa Madama (18 febbraio 1984 – 18 febbraio 2023). L’iniziativa è stata organizzata dall’Accademia Bonifaciana, dall’Ordine degli Avvocati di Frosinone, dalla Fondazione Socialismo e da Mondoperaio, con il patrocinio del Comune di Anagni e della Banca Anagni.

Presentiamo il racconto della giornata di studi realizzato dal prof. Marco Plutino che è stato anche uno dei relatori.

Uno dei risultati più importanti, sicuramente storici, del governo Craxi fu la stipula, dopo tentativi quasi trentennali, della revisione del Concordato tra Stato e Chiesa Cattolica nel 1984. Pertanto è con soddisfazione che Mondoperaio e Fondazione Socialismo hanno preso parte attiva ad un seminario di studi che in fatto ha aperto le celebrazioni del quarantennale, dal titolo “I rapporti Stato-Chiesa alla vigilia degli accordi di Villa Madama”. L’incontro è stato organizzato dal dottor Simone Osvaldo Mancini, cultore di Diritto canonico presso l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale e membro del Comitato Scientifico dell’Accademia Bonifaciana, e si è dipanato attraverso le relazioni di tre giuristi, felicemente introdotte da corpose riflessioni di un teologo, il Professore Pasquale Bua, e una storico-politica, del Senatore Gennaro Acquaviva, allora stretto collaboratore e consulente del Presidente del Consigli Craxi, estensore per parte dello Stato degli Accordi.

L’incontro si è svolto nella magnifica Sala della Ragione ad Anagni, città natale del grande papa Bonifacio VIII, con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale, dell’Ordine degli Avvocati di Frosinone, dell’Accademia Bonifaciana e di BancAnagni, con i relativi interventi di saluto da parte del Sindaco di Anagni Avv. Daniele Natalia, del Rettore Presidente dell’Accademia Bonifaciana Gr. Uff. Prof. Sante De Angelis e del Presidente dell’Ordine degli Avvocati della Provincia di Frosinone Avv. Vincenzo Galassi.

Molta acqua è passata sotto i ponti nel frattempo in questi quarant’anni. Per lo Stato italiano è caduto un regime politico-partitico e un altro, quanto mai incerto è sorto, la cosiddetta Seconda Repubblica. Per la Chiesa, dopo la stipula della revisione del Concordato, avvenuta sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, si sono avvicendati un Papa teologo che dopo otto anni di pontificato ha rinunciato al ministero di Vescovo di Roma e successore di Pietro ed è arrivato un Papa, Francesco, dalle lontanissime Americhe.

Eventi mirabili, gli uni e gli altri, che ci interrogano sull’attualità degli accordi di villa Madama davanti ad un mondo e una società che sono profondamente cambiati.

Opportunamente, pertanto, il Professore Bua, Direttore dell’Istituto teologico “Leoniano”, ha voluto inquadrare gli accordi nella prospettiva di una Chiesa che si è gradualmente aperta alla modernità, fino a riconciliarsi ampiamente con essa.

In primo luogo il teologo ha voluto rimarcare l’adeguatezza dello strumento concordatario per disciplinare rapporti tra la Chiesa cattolica e gli Stati, fornendo anche dati che certificano come i concordati continuino ad essere una via frequentemente praticata, a scanso di un processo che pure si vuole improntato alla secolarizzazione.

La parte centrale della relazione ha riguardato il cammino della Chiesa a partire dalla perdita del potere temporale, in particolare esaminando il rapporto problematico con il moderno, prima condannato in tutte le sue espressioni, poi, tra molte difficoltà, gradualmente accettato; quindi e per conseguenza l’emergere del riconosci[1]mento della libertà religiosa, fino ad arrivare a rivendicarne la primogenitura, per concludere con l’emersione del tema, nient’affatto scevro di problematiche, del dialogo interreligioso.

Da questo punto di vista è Concilio Vaticano II che, pur attraverso i bilanci piuttosto divaricati cui ha dato luogo, funge certamente da spartiacque, assurgendo ad evento letteralmente “rivoluzionario”, sia rispetto al modo d’essere della Chiesa e di concepire il rapporto con i fedeli, il “popolo di Dio”, sia rispetto all’evoluzione delle società occidentali, in particolare quelle più segnate dall’esperienza cattolica.

Con riferimenti teologici puntuali il Professore Bua ha documentato il ruolo persistente della dottrina sociale della Chiesa, la virata verso una maggiore collegialità e l’emersione di un ruolo sempre più centrale del laicato soffermandosi in particolare sui Papi che maggiormente hanno lasciato il segno sull’uno o l’altro aspetto, ed in particolare Leone XIII, Pio XII e Giovanni Paolo XXIII, non senza accennare in conclusione ad alcune questioni aperte.

L’intervento del Senatore Acquaviva si è giocato, come l’uditorio sicuramente si attendeva, sul filo del ricordo attraverso una compiuta e sempre ironica ricostruzione di un esito, la stipula del nuovo Concordato, per molti versi sorprendente. Acquaviva ha ricordato come Craxi fosse giunto alla guida del partito e poi al governo in posizioni di debolezza, e che pertanto la revisione del Concordato era un risultato cui pervenire anche al fine di rafforzare la propria posizione, come di rafforzare il Paese.

D’altra parte il fatto che le battute finali della trattativa si siano, con apparente paradosso, svolte sotto l’egida dei primi due governi “laici” della Repubblica, non deve far dimenticare che in parte l’accordo era sempre più maturo, e che d’altra parte i due protagonisti laici lo consideravano un traguardo storico come e più della Democrazia Cristiana.

Spadolini, il vecchio storico del Risorgimento da sempre attento a ciò che avveniva Oltretevere, altra faccia della costruzione dello Stato nazionale, o meglio del farsi degli italiani.

Craxi, d’altra parte, guardava al mondo cattolico con una notevole dose di curiosità, tipica del personaggio, e vedeva nello stabilirsi di rapporti sia del partito che dello Stato con la Chiesa cattolica un modo per recuperare quello spazio occupato a suo tempo dal “partito nuovo” togliattiano e come una via per rinforzare le capacità di governo di una società sempre più individualistica e atomizzata.

Acquaviva a tal proposito si è soffermato sulle ben distanti posizioni originarie del partito socialista, piuttosto inclini all’anticlericalismo e per natura non lontane, in molti esponenti, da una sensibilità massonica, sottolineando quanto diverso fosse il partito craxiano non solo da quello nenniano ma anche solo da quello demartianiano.

Infine il suo intervento ha rappresentato, con la consueta ironia, il proprio ruolo come “uomo della Provvidenza”, ovvero, se si preferisce, le circostanze anche contingenti di natura personale che lo hanno condotto al centro del dialogo tra Stato e Chiesa e in condizione di concludere un lungo processo storico.

Acquaviva ha rimarcato le proprie origini di socialista cristiano vicino a Labor, la diffidenza iniziale del partito verso questi “compagni cristiani”, la frequentazione occasionale, inizialmente da mero fedele, con il cardinale Achille Silvestrini, che ha consentito l’apertura di un canale di dialogo privilegiato con il Segretario di Stato cardinale Agostino Casaroli e la successiva consuetudine con il mondo del clero, sia pastorale che di curia.

La parte conclusiva dell’intervento si è soffermata su alcuni aspetti tematici inerenti la revisione e sull’illustrazione delle ragioni profonde che rendevano urgente la conclusione di rimettere mano al Concordato per un paese come l’Italia che stava appena uscendo dalle stagioni del terrorismo e avviato a diventare una società affluente ma non poco inquieta.

Significativa la riflessione conclusiva ove il Senatore, come in altre occasioni, ha esplicitato la confidenza che lo Stato, anche tramite la leva economica, potesse ricevere un aiuto dalla Chiesa a tenere insieme la società italiana – strategia espressa anche testualmente dal concordato con la previsione di una cooperazione per la promozione dell’uomo e il bene del paese –, interrogandosi infine se tale strategia abbia pagato e in ogni caso sia ancora rispondente alla realtà di oggi.

Su queste solide basi teologiche e storico-politiche circa gli Accordi di Villa Madama, si sono succeduti gli interventi dei giuristi.

Marco Plutino, Associato di Diritto costituzionale all’Università di Cassino e del Lazio meridionale, dove è incaricato anche di Diritto Canonico, ha sottolineato che la prospettiva storica è sicuramente la migliore per esaminare la portata di quegli accordi, ed in particolare che la revisione del Concordato, pur necessitata alla luce della Costituzione del 1948, non si può comprendere appieno senza tener conto dell’esperienza spartiacque del Concilio Vaticano II.

V’era certo l’esigenza di adeguarsi alle portate degli articoli 7, 8 e 19 della Costituzione, e ciò di per sé comportava fatalmente uno snellimento del materiale concordatario.

Tuttavia mentre procedeva questa sorta di “azione parallela” musiliana che bozza dopo bozza, per diversi lustri, cercava di stringere per l’accordo finale, si succedevano fatti, sia per parte dello Stato che per parte della Chiesa, che offrivano sollecitazioni nuove, da raccogliere.

Nella parte centrale dell’intervento lo studioso ha condotto una rapida disamina del cammino delle trattative e delle vicende connesse che l’hanno ora ostacolato ora reso più urgente, dai fatti di cronaca che videro protagonista il vescovo Fiordelli all’altra vicenda, sempre di cronaca, del 1965 in occasione della rappresentazione del dramma teatrale «Il Vicario» del tedesco Rolf Hochhuth che segnò in fatto un punto di non ritorno, con l’inizio dell’iter parlamentare per parte dello Stato, con una mozione Psdi-Pri e Dc (si noti l’assenza, in questa fase, del Psi).

Nel frattempo la costituzione conciliare “Gaudium et spes” affermava con estremo coraggio che Chiesa non avrebbe posto “la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile”, ad anzi “vi avrebbe rinunciato ove avesse costatato che il loro uso avrebbe potuto far dubitare “della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni”.

Una sfida che lo Stato stesso, guidato dalla Democrazia Cristiana, aveva bisogno di metabolizzare. Plutino poi ha fatto cenno alle diverse “bozze” che si succedevano e alle temperie di contorno, sottolineando come la sti[1]pula del Concordato veniva a realizzarsi proprio quando scomparivano dalla scena due illustri studiosi e protagonisti della trattativa, Gonella e Jemolo, e d’altra parte la Dc cedeva il posto, con l’intermesso di un breve governo Fanfani, ai laici.

Alla fretta della Chiesa di concludere gli accordi per entrare in una nuova fase dei rapporti con la società italiana si aggiungeva ormai anche quella dello Stato dove si manife[1]stava un primo ingresso del multiculturalismo e, prima ancora, l’urgenza delle intese con i culti non cattolici (a partire da quelli tradizionalmente presenti nel paese) che erano bloccati dalla mancata revisione del Concordato.

Tanto è vero che pochi giorni dopo la conclusione del Con[1]cordato si dava luogo già alle prime intese.

La relazione si è conclusa su un aspetto solo apparentemente tecnico, laddove ha rimarcato che il Concordato all’articolo 13 contempla una procedura semplificata di revisione peraltro già utilizzata in passato per tornare a disciplinare l’ora di religione.

A tal fine se certamente mancano i presupposti, e forse le ragioni, per una revisione organica, del Concordato d’altra parte potrebbe essere utile utilizzare il meccanismo indicato per tornare su qualche aspetto, dal momento che la società italiana in questi quaranta anni è profondamente cambiata, a partire da un multiculturalismo non più liminare e dalla presenza di milioni di stranieri e nuovi italiani che professano confessioni non cattoliche o religioni non cristiane.

Il docente ha concluso ricordando che l’insegnamento della religione cattolica (IRC) è tuttora previsto nelle stesse forme e cautele di quaranta anni fa, e che se nella logica della neutralità dello Stato ciò fatalmente conduceva alla soluzione della facoltatività, forse oggi vi sono le condizioni per un muta[1]mento di approccio.

Qualora la Chiesa, sempre nello spirito della “Gaudium et spes”, si mostrasse disponibile ad un’ulteriore sfida, del resto coerente con le proprie posizioni dogmatiche, si potrebbe immaginare una rimodulazione dell’ora di religione, a quel punto anche prevedendola come obbligatoria, facendola divenire di “insegnamento di religioni” ovvero di “conoscenza ed educazione al fenomeno religioso” et similia, con accentuazione dell’aspetto storico-comparatico e con alta valenza metodologica e sensibilità dialogico.

Ciò non toglierebbe spazio a una certa centralità nella trattazione della confessione cattolica, in coerenza del resto con le stesse scelte del Costituente, ma potrebbe essere accentuata la dimensione problematica, del dialogo tra fede religiosa (qualunque) e ragione, del dialogo interreligioso e della convivenza nella libertà (religiosa), anche mediante la conoscenza del patrimonio dogmatico delle diverse religioni, a partire da quelle monoteistiche.

Naturalmente ciò richiederebbe un ripensamento dello status del docente di religione, che rappresenta certamente un problema organizzativo (oltre che culturale) non da poco.

Le ultime due relazioni giuridiche hanno avuto ad oggetto alcuni aspetti specifici del Concordato, come revisionato nel 1984. Il dottor Mancini, culture della materia di Diritto canonico a Cassino, già incaricato di Diritto ecclesiastico alla Scuola delle Professioni Legali alla “Cusano” e membro del Comitato Scientifico dell’Accademia Bonifaciana, si è soffermato sulla disciplina degli enti ecclesiastici, in quanto nel 1984 si sono poste le basi per un nuovo regime giuridico relativo ad enti e beni ecclesiastici, sulla base della normativa costituita dal[1]l’art. 7 del nuovo Concordato e dell’art. 20 della Costituzione e messa in opera dall’attività di una apposita commissione paritetica.

Dopo aver definito il concetto di “ente ecclesiastico” secondo l’insegnamento di Tommaso Mauro, come qualsiasi entità di natura associativa o fondatizia, appartenente o collegata ad una Chiesa o una organizzazione confessionale che possa essere qualificata come Chiesa, il dottor Mancini ha inquadrato giuridicamente gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti in una categoria a sé stante, in virtù della qualificazione e della normativa specifica fornite dalla legge n. 222 del 1985.

L’art. 20 Cost. esclude che possano essere sottoposti ad un regime più gravoso rispetto agli altri enti mentre sono sottoponibili ad un regime fiscale agevolato in quanto agli effetti tributari sono equiparati alle istituzioni dirette a soddisfare fini di beneficenza o di istruzione.

Tale principio trova conferma nell’applicazione della disciplina IMU, ove si stabilisce espressamente che l’esenzione riguarda l’immobile dell’ente ecclesiastico in cui l’attività svolta viene esercitata necessariamente con modalità non commerciali.

Qualora invece nel complesso ecclesiale vengano svolte insieme attività istituzionali e non, l’esenzione fiscale sarà limitata alla sola parte di unità immobiliare in cui si svolge l’attività non commerciale.

L’ente ecclesiastico può pertanto essere anche imprenditore, con la conseguente applicazione delle regole civilistiche riservate alle persone giuridiche di diritto comune in materia di fallimento, ove la chiusura della procedura concorsuale non è comunque causa di estinzione dell’ente, perché tale estinzione può derivare solo da una decisione dell’autorità ecclesiastica, per cui la procedura riguarderà solo le attività extrareligiose. Infatti il Ministero dell’Economia ha precisato che l’esenzione totale IMU spetta solo se il proprietario  dell’ente/immobile ecclesiastico è un ente non commerciale, se svolge attività di religione o di culto oppure un’altra attività prevista alla lettera i, art. 7., del d.lgs. n. 504/1992 e se tali attività sono svolte con modalità non commerciali.

L’ultima relazione dell’avvocato Fidaleo, anche lui cultore in materia ecclesiastica e canonica presso l’Ateneo di Cassino e l’Università “Cusano” nonché incaricato di procedura civile alla Scuola per le professioni legali di quest’ultimo Ateneo, è stata sicuramente la trattazione più spinosa, riguardando il matrimonio concordatario e in generale la disciplina matrimoniale.

La relazione si è dipanata attraverso un puntuale richiamo delle novità legislative e giurisprudenziali – queste ultime numerosissime – degli ultimi anni in riferimento allo scioglimento del vincolo matrimoniale e alla disciplina delle unioni di fatto e delle unioni civili, sia same sex che non.

È stato pertanto fatto cenno ad una serie di questioni problematiche in relazione ad ipotesi di poligamia ovvero scioglimento automatico o meno, a seconda dei casi, del vincolo (ormai in fatto matrimoniale o, alternativamente, “affettivo”), in ipotesi di cambiamento del sesso (perfino di entrambi i componenti della coppia…), alla luce dei limiti posti dalla Costituzione e dalle altre normative.

Una trattazione che, in conclusione, ha reso ancora più evidente l’impatto di costumi “secolarizzati” e derivante dagli effetti dell’emersione dei nuovi diritti collegati alla sfera sessuale, nonché ha plasticamente evidenziato alcuni risvolti problematici derivanti dalla presenza diffusa sul territorio italiani di costumi sessuali e matrimoniali importati e assai diversi da quelli della tradizione occidentale, forgiata dalla presenza della Chiesa.